Il Consiglio

Cenni storici

Cenni storici

Nel primo centenario della fondazione degli Ordini forensi

Solo lasciando sfumare i vivaci colori della leggenda che riporta istituzioni e nomi di personaggi che si perdono nei secoli, solo restando attenti a sicure fonti storiche possiamo ricostruire le vicende che hanno portato la nascita e l’evolversi della professione forense in Vicenza. Guardando ai grandi avvenimenti politici e sociali che influirono sulla vita della nostra città potremo esaminare e capire la storia degli avvocati vicentini.

E’ noto che Vicenza, prima della sottomissione a Venezia, ebbe lungo e travagliato periodo che possiamo fare iniziare, per quanto può interessare il nostro dire, con il secolo X. La città in quel tempo era governata dal Vescovo che sostituiva il legale Governo Comitale. Il Vescovo presiedeva ad ogni istituzione ed era investito di vere giurisdizioni temporali. Si deve giungere agli anni intorno al 1120 per trovare finalmente la nascita del Comune e la sostituzione di un regime veramente Comunale a quello Feudale. Ne seguirono le dominazioni dei Padovani e dei Veronesi finché si giunse ai Visconti che protrassero la loro Signoria fino all’inizio del secolo XV quando i vicentini preferirono la cosiddetta “spontanea dedizione” a Venezia per evitare di ricadere sotto il Governo dei Carraresi di Padova.

La fonte più preziosa per le notizie precise e puntuali sull’argomento che ci interessa ci viene data da Padre Barbarano (Storia Ecclesiastica Vicentina – Libro V) il quale pur ricordando l’esistenza di giuristi e notari intorno al secolo XI, precisa che sotto la data del 19 novembre 1275 venne istituito il COLLEGIO DEI NOBILI DOTTORI, detto altresí COLLEGIO DEI GIURISTI VICENTINI.

Detto Collegio era composto della più “scelta ed antica nobiltà di Vicenza”, era considerato il primo di tutti i collegi della città e veniva distinto con i titoli di sacro e venerabile: alla pari, per dignità ed importanza, con il collegio dei notari che aveva trovato la sua istituzione nel 1272 con la riforma del proprio statuto nel 1280. Del Collegio dei Giuristi Vicentini facevano parte sia i giudici sia i difensori e, praticamente, i componenti dello stesso presiedevano non solo gli uffici e le magistrature civili ma coprivano le principali cariche della città. Sappiamo che era composto da persone che dovevano avere determinati requisiti ed esattamente: natali legittimi, nobiltà paterna ed avita o, in mancanza, cittadinanza vicentina della famiglia da almeno cento anni. Erano esclusi gli appartenenti ad una famiglia che esercitava un’arte “meccanica”. Inoltre, occorreva avere conseguito la laurea presso l’università di Padova e l’età massima richiesta era di anni 24, con l’ammissione di coloro che avevano compiuti i 22 anni, purché figli di giuristi già iscritti al Collegio. Era necessario avere superato lodevolmente un esame “scritto e verbale” sopra alcuni fra i punti più controversi della giurisprudenza pratica. Si ha quindi l’impressione che, in allora, si badasse alla preparazione pratica con una certa severità.

Ciò eseguito, l’ammissione era condizionata al suffragio del Collegio con il favore di almeno due terzi dei voti.

Il Giurista Collegiale poteva essere: Deputato o Sapiente alle cose utili; Giudice delle Appellazioni; Giudice Console (cioè il Giudice dell’aquila, dei bue, del cavallo, del pavone, nomi dati dalle particolari insegne poste sopra l’ingresso del loro ufficio) Giudice degli anziani, dei Preti ed, infine, Avvocato, Procuratore dei poveri, Avvocato dei Comune.

Sembra interessante ricordare che il Giudice delle Appellazioni conosceva dei ricorsi contro le cause civili decise dai quattro Giudici Consoli. In altre parole il processo di primo grado era svolto dai Giudici Consoli e quello di secondo grado dal Giudice delle Appellazioni. Erano inoltre il Giudice dei Preti che giudicava nelle cause in cui era parte una persona ecclesiastica ed il Giudice delle Mariganze che riceveva le denunce dei guardaboschi ed in genere da ogni guardia, relative ai danni recati a boschi ed a terre comunali. Innanzi a questi Magistrati operavano gli avvocati vicentini dei quali è opportuno ricordare l’avvocato del Comune cui spettava intervenire a tutti i consigli comunali, arringare pubblicamente contro tutto ciò che fosse contrario alle leggi e statuti municipali. Aveva inoltre diritto al voto al pari di tutti gli altri consiglieri. L’avvocato dei poveri, infine, che veniva scelto dal Collegio dei Giuristi, ed il Patrocinatore, scelto da quello dei notai, sostenevano gratuitamente la difesa ed il patrocinio delle persone indigenti “così riguardo le azioni, come riguardo le eccezioni”. L’adempimento a questo dovere, svolto in modo zelante e con premura, poteva servire di titolo a conseguire poi altre più importanti ed onorifiche cariche.

I processi iniziavano “all’ora di terza” (le nove antimeridiane) nel Palazzo della Ragione e dopo un’ora, cessato il suono della campana, seguiva la pubblicazione della sentenza. Solamente nel caso che qualche Giudice non potesse sedere nell’ora indicata, la causa intendevasi ipso iure “stridata”, cioè differita all’udienza del giorno seguente. Così Giudici e Avvocati, come abbiamo visto, facevano parte dello stesso Collegio e si ricorda un codice Membranaceo dell’11 marzo 1383 che, richiamato lo Statuto del Collegio dei Giuristi Vicentini, dà nuove disposizioni fondamentali al Collegio stesso e ne riordina l’attività.

Siamo ormai alla soglia della dominazione della Serenissima ed è appunto con la sottomissione di Vicenza a Venezia che per gli avvocati vicentini inizia una fase di splendore che segue, sia pure in modo indipendente, l’evolversi della vita forense veneziana

E’ con il 1404 infatti che si apre un periodo di quasi quattro secoli durante il quale Vicenza, dopo le vicissitudini che abbiamo brevemente esaminate, godrà di una vera pace e di notevole prosperità economica.

Si evolvono le istituzioni che reggono la città, risentendo la stessa dell’influsso e della protezione della Dominante. Accanto al fiorire di iniziative che portano a far considerare il secolo Decimo Quinto come il secolo d’oro della vita economica vicentina, rifioriscono la cultura e l’arte.

L’amore infatti per gli studi umanistici riprende alacremente nel ricordo dell’insegnamento del Campesani, di Ferreto de’ Ferreti, del Loschi ed è solo per un… ritardo nella presentazione della domanda al Governo Veneto che non viene concesso il ripristino di quella vera e propria università che era lo “Studio Generale” già istituito e fiorente nel primo decennio del XIII secolo.

Sorge in compenso una Scuola Pubblica che raccoglie la gioventù studiosa ed al culto per l’umanesimo viene accoppiato lo studio dell’arte. Ci si avvia così verso il Rinascimento, ad Andrea Palladio ed a Giangiorgio Trissino.

Su questo fertile terreno, così ricco di iniziative sia economiche sia culturali, la guida della Veneta Repubblica porta l’avvocatura vicentina allo svolgimento della sua alta e delicata attività in seno alle norme istitutive che regolavano appunto l’attività degli avvocati di terraferma. Così venivano estese, e di volta in volta adattate, a tutto il territorio sul quale si estendeva il dominio di Venezia, le leggi che presidiavano l’attività forense nella città lagunare ove dal “Rengo” gli avvocati peroravano a viva voce, senza allegazioni di scritture.

Le terminazioni e gli altri provvedimenti legislativi provenienti da Venezia costituivano una vera e propria legge professionale adattata, come abbiamo visto, sia alla nomina sia alla attività degli avvocati. Venezia quindi restava il “modello” anche perché, in quei tempi che mai come oggi, non solo per quanto riguarda il nostro argomento, sospiriamo, la Repubblica Veneta era in grado di amministrare effettivamente e sollecitamente la giustizia.

Così in Vicenza, forse per la prima volta, erasi formata una “coscienza della legge” che nel periodo precedente il dominio veneto mancava, poiché, troppo spesso, l’attività del giudice e dell’avvocato non erano che mera manifestazione del volere dei Principe.

A Venezia si distinguevano avvocati ordinari e straordinari, riservandosi solo ai primi, nobili veneziani per nascita, l’esercizio forense innanzi alle Corti di Rialto e S. Marco.

In Vicenza, invece, non esisteva la categoria degli avvocati ordinari che, come abbiamo ora ricordato, potevano essere solo di nobile casata veneziana. Esercitavano però l’avvocatura i più bei nomi dell’aristocrazia e della cultura vicentina ed è opportuno segnalare come allora fosse contemplata l’esistenza degli avvocati dei Prigioni, che sostenevano le ragioni dei poveri, li difendevano e percepivano l’emolumento dal “pubblico erario”. Una specie di legge sulla tutela dei non abbienti “ante litteram”. Gli antichi testi ricordano anche che la carica degli avvocati dei Prigioni era ambita ed i nostri colleghi del tempo consideravano punto d’onore la difesa dei Prigioni. Chi avesse voluto dedicarsi alla “onorevole professione dell’avvocato doveva aver conseguito la laurea dottorale all’Università di Padova. Ciò però non era sufficiente perché per l’effettivo esercizio della professione, occorreva conseguire il “mandato all’esercizio” che veniva conferito Magistrato dei Conservatori ed Esecutori alle Leggi. L’importanza annessa dal Governo Veneto al requisito della laurea per chi faceva domanda per ottenere il “mandato all’esercizio”, è dimostrata dai decreti 29 aprile 1537 e 29 ottobre 1553 del Maggior Consiglio e, specialmente per quanto riguarda Vicenza, dalla Ducale del 27 agosto 1668 del Doge Domenico Contarini detta “Speciale per il Foro di Vicenza” tendenti tutti ad eliminare l’inserimento nel corpo degli avvocati di persone che non potevano fregiarsi dell’alloro dottorale e che esercitavano con “mandati spuriamente carpiti al Magistrato dei Conservatori ed Esecutori delle Leggi”.

Esaminate le date dei decreti e della Ducale, viene da pensare come l’esercizio organico e disciplinato della professione forense, regolato da disposizioni vincolanti e precise, si sia concretato dopo un lento travaglio, considerando che fin dal 1404 Vicenza era sottomessa a Venezia eppertanto trascorse oltre un secolo perché si attuasse completamente il passaggio dall’esercizio dell’avvocatura in modo non disciplinato e coordinato, a quello, viceversa, organico e serrato da leggi che contemplavano “ex professo” la materia.

Giova ricordare che nel periodo che stiamo trattando gli avvocati erano coadiuvati dai Sollecitatori detti anche Causidici, Intervenienti e Procuratori che corrispondevano all’istituzione dei Procuratori (avoués) in Francia dei quali si ha notizia fin dal 1341. Nel mentre, però, in Francia i Procuratori sedevano continua- mente a Palazzo di Giustizia e quindi forse potevano anche essere considerati procacciatori di cause e commessi dell’avvocato, in Vicenza i giovani che aspiravano all’avvocatura “dotti e di buona nascita” appaiavano l’opera degli avvocati e ne frequentavano gli studi. Preparavano le cause, ricevevano i clienti, si preoccupavano del rito, nel mentre agli avvocati era riservata la parte nobile della difesa nelle pubbliche udienze.

Anche per i procuratori vennero emesse precise disposizioni e per quelli di terraferma erano richiesti particolari requisiti.

Per Vicenza infatti ricordiamo gli Ordini 12 maggio 1676 dei Sindaci Inquisitori Barbarigo e Foscarini e 3 dicembre 1699 dei Sindaci Inquisitori Gradenigo Belegno e Marcello e la Terminazione l° agosto 1776 con la quale veniva dato assetto definitivo alla categoria riducendo il numero dei procuratori da 81 a 60. Vennero stabilite pene particolarmente severe per coloro che esercitavano la professione del “Procurator o Sollecitator”, privi dei requisiti: sei mesi di “prigione serrata” e multa di 200 “piccoli”. Con la predetta Terminazione inoltre si diede corso ad un’inchiesta che doveva esaminare i titoli in possesso di ciascun procuratore; la Corporazione dei Procuratori o Sollecitatori venne presieduta dal Podestà, da due Deputati, dal Vicario Pretorio, dal Magnifico Capo dei Consoli e dal Prior del Collegio dei Giudici. Tutte disposizioni dettate perché si era appurato che i procuratori non rispettavano le norme, deplorandosi “disordini dei Foro circa le regole dell’Ordinamento del ceto dei sollecitatori”. Vennero esclusi gli aspiranti la cui famiglia, negli ultimi 40 anni avesse esercitato arte servile o meccanica e fossero privi di censo (sic!). Si prescrisse una pratica di cinque anni presso un Procuratore “approvato” e l’esame preventivo innanzi alla presidenza dell’Ordine, cui si aggiungevano due avvocati e due procuratori del Foro di Vicenza i cui nomi venivano estratti a sorte e che dovevano giurare di “non avere interesse né di usar facilità ai concorrenti”.

Restano ora da ricordare alcuni nomi di avvocati vicentini che si imposero per scienza e fervore di attività forense, in Vicenza ed in Venezia dove, secondo l’avvocato Carlo Goldoni “un membro della Repubblica che sdegnerebbe essere negoziante, banchiere, notaro, medico, professore di una Università, abbraccia la professione dell’avvocato e dà il nome di confratelli agli altri avvocati … “. Parole che indubbiamente suonano prestigio per la categoria pur se non debbono far dimenticare che provengono proprio da un avvocato che esercitava la professione del… commediografo.

Fra i nomi piu illustri del Foro vicentino, Gio. Maria Bertolo, giurista e letterato che legava il suo nome alla donazione della sua ricchissima biblioteca al Comune di Vicenza. Ciò nel 1704 ed il Comune fece costruire apposita “Sala” e la biblioteca pubblica continuò la sua funzione e anche oggi viene consultata da studiosi e lettori. E’ la biblioteca Bertoliana di via Riale. Piace ricordare come anche il Goethe, ospite di Vicenza nel settembre 1786 (proprio quando stava per dare vita alla figura di Mignon) non mancò la visita e lodò il busto del grande giurista, “… espressione piena di forza, libera, vigorosa, bella, di eccellente fattura”. Bertolo, nato nel 1631, fu presto chiamato a Venezia, esercitò la professione, ricopre cariche pubbliche, fu nominato Conte e ritornava a Vicenza di quando in quando trovando rifugio nella sua villa sul Colle di S. Bastian. Splendida dimora con affreschi dei Tiepolo (Giambattista e Giandomenico) e i primi piani architettonici del Mengozzi-Colonna. Morì in Vicenza correndo l’anno 1707, essendovi ritornato stabilmente e trascorrendo gli ultimi anni di sua vita raccolto nei suoi prediletti studi di diritto e letterari.

Altro avvocato che legò il suo nome a vivaci tenzoni oratorie nel “Rengo”, fu Carlo Cordellína che a Vicenza ed a Venezia primeggiò per fervido ingegno e mirabile facondia nel discutere le questioni giuridiche. Soggiornò in Venezia ma fu sempre legato a Vicenza ove, in Montecchio Maggiore, a pochi chilometri dal capoluogo, fece costruire quella villa tuttora meta di estasiata ammirazione da parte dei visitatori. Volle anche, secondo l’usanza del tempo, il palazzo in città e lo fece costruire in Via Riale chiamando al progetto Ottone Calderari. A detta di un contemporaneo l’avvocato Cordellina era “oratore eloquente, svolgeva, sbarazzava, semplificava i litigi, argomentava serrato, assaliva l’avversario, lo abbatteva, trionfava”. Un “cavallo vincente”. Morì in Vicenza nel 1794 e venne sepolto nella chiesa di S. Faustino oggi ridotta a sala per spettacoli cinematografici. Altri notevoli giuristi dell’epoca, Nicola Olerina, Francesco Loschi, Stefano e Bartolomeo Valmarana. Piace ricordare, per le gentili lettrici, che i nostri colleghi di allora non portavano la toga che “piangeva loro addosso”, ma con dignità e decoro. Ne possedevano due “negre, una per l’inverno di panno, damasco o velluto e una per l’estate, di ormesino di Fiorenza (seta finissima)”.

Il 27 aprile 1797 a Vicenza si dichiarava decaduto il dominio veneto e si proclamava la Municipalità provvisoria. Negli anni seguenti la città seguiva le alterne fortune della vicenda franco-austriaca gemendo ora il dominio dell’una ora quello dell’altra nazione. Vennero costituiti due dipartimenti – vicentino e bassanese – poi raggruppati in unico dipartimento ed un’apposita commissione compilava un “piano per l’amministrazione della giustizia nel circondario vicentino bassanese”. Con Decreto 25 Vendemmiatore Anno Sesto Repubblicano (16 ottobre 1797) venne regolato l’esercizio dell’avvocatura e della attività dei procuratori. All’avvocatura vennero ammessi cittadini vicentini e bassanesi già legalmente attivi nei rispettivi Fori. Qualsiasi altro avesse aspirato alla professione forense, avrebbe dovuto ricorrere al Comitato di Polizia della rispettiva Municipalità. Una volta riconosciuto persona proba ed onesta, veniva presentato al Comitato Centrale di Sicurezza che lo ammetteva all’esercizio dell’avvocatura, previo superamento di un esame. Gli esaminatori delegati erano due avvocati che interrogavano il candidato alla presenza del predetto Comitato Centrale di Sicurezza. Per quanto riguarda i procuratori, caduto il Governo Veneto, con Terminazione 30 luglio 1789 si procedette al riordino delle norme che disciplinavano la professione. Il Magistrato dei Conservatori ed Esecutori delle leggi riconfermò il numero dei procuratori in sessanta, come massimo, con preferenza ai figli e nipoti “ex fratre o ex filio” dei procuratori che avessero cessato l’ufficio. Una vera e propria casta. In seguito anche i procuratori vennero equiparati agli avvocati.

Nel 1814 cade Napoleone, la città viene incorporata, sotto il dominio Austriaco, nel Regno dei Lombardo-Veneto. Malgrado il giudizio negativo che gli scrittori dell’Ottocento hanno dato della dominazione austriaca, conviene precisare che la stessa favorì lo sviluppo economico e culturale della città. Però l’esercizio dell’avvocatura venne disciplinato sul modello delle leggi austriache, che, fra l’altro, non prevedevano la categoria dei procuratori ed eliminarono pertanto la stessa. Le leggi austriache infatti non ammettevano divisione d’ufficio per l’istruzione e il rito e per la trattazione del merito della causa. Comunque, e anche questo va detto, l’amministrazione della giustizia funzionava egregiamente, le cause avevano rapido corso e sollecita soluzione. In questo periodo si ricordano i nomi degli avvocati Valentino Pasini, Sebastiano Tecchio, Giovanni Lucchini che, in seguito, diverrà anche senatore del Regno d’Italia. Siamo ormai giunti alle giornate del 1848, alla strenua e sfortunata difesa di Vicenza che meritò alla città la medaglia d’oro. Si affaccia il 18 novembre 1866, giorno in cui la città si unisce al Regno d’Italia.

Com’è ben noto, avvenuta l’unificazione nazionale, fu emanata la legge 9 giugno 1874 n. 1938, che regolava l’esercizio delle professioni forensi, distinte nel Collegio degli Avvocati e in quello dei Procuratori, rispettivamente rappresentati dal Consiglio dell’Ordine e dal Consiglio di disciplina. Sono dunque ora decorsi cent’anni dall’istituzione degli Ordini Forensi, ed è appunto per celebrare degnamente questa ricorrenza che il C.N.F. ha invitato i singoli Ordini professionali a raccogliere dati e notizie locali, il che si è cercato di fare, per quanto riguarda Vicenza, col presente, modesto lavoro.

La stampa cittadina dell’epoca (agosto 1874) ricorda i nomi dei componenti il primo Consiglio dell’Ordine: G. Bacco, G. B. Marchesini, T. Montanari, G. Nale, G. Nicoletti (presidente), A. Onesti, A. Pasqualigo, V. Renier, M. Volebele, G. Zanella.

Quanto ai Procuratori, il primo Consiglio di disciplina risulta composto dei seguenti nomi: G. Anzi, G. Balestra, E. Fiorioli, G. Fontana, G. Lucchini, G. B. Rezzara, P. Sale, A. Tessari, G. Tomj, A. Villanova.

Fra i Presidenti successivi meritano particolare menzione l’avv. Giovanni Mazzoni, insigne civilista (che fu anche deputato al Parlamento nazionale) e l’avv. Riccardo Dalle Mole per lunghi anni Sindaco di Vicenza nel periodo antecedente la prima guerra mondiale e che poi resse l’Ordine degli Avvocati fino alla soppressione dello stesso.

Infatti, con l’avvento del fascismo la legislazione del 1874 venne abrogata, e la nuova normativa (L. 25.3.1926 n. 1683) soppresse il Consiglio dell’Ordine degli avvocati e il Consiglio di disciplina dei procuratori, sostituendoli in via straordinaria con due Commissioni Reali. A Vicenza, esse furono costituite come segue. Commissione Reale per l’Ordine degli Avvocati: D. Monza (Presidente), A. Dal Savio, V. Fontana, G. Prosperini, A. Segala. Commissione Reale per il Collegio dei Procuratori: G. Tozzi (Presidente), A. Broglio, G. Casarotti, I. Peruffo, G. B. Scaroni.

Nel 1933, anche le Commissioni Reali vennero soppresse, concentrandosi tutte le mansioni e i compiti delle stesse nel Sindacato provinciale, sorto nel 1926 e che così divenne l’unico organo professionale rappresentativo della categoria. A Vicenza, fu nominato Commissario del Sindacato (con D.M. 2.1-2.1933) l’avv. M. Giaretta, che già da sei anni era segretario del sindacato stesso e che successivamente, rieletto alla Segreteria, mantenne la carica fino al 1945.

Siamo così giunti al dopoguerra, e al ripristino degli Ordini forensi già soppressi dalla legislazione fascista ed ora unificati nell’ordine degli Avvocati e Procuratori.

A Vicenza, il primo Consiglio dell’Ordine postbellico (eletto nell’autunno del 1945) vide come presidente l’avv. Gaetano Zilio Grandi, che meritò dai colleghi non solo ammirazione e stima per le qualità professionali ed umane, ma anche particolare riconoscenza per la sua generosità post mortem (1950). Egli infatti legò all’Ordine un suo palazzo cinquecentesco in Vicenza, già dimora dell’illustre famiglia dei conti Gualdo Priorato (estintasi appunto con Bianca Gualdo Priorato consorte dell’avv. Zilio Grandi che ne fu l’erede universale).

Gli avvocati e procuratori vicentini godono pertanto dal 1950 di una splendida sede, non solo per le riunioni di Consiglio, ma per la biblioteca, le assemblee ed ogni cerimonia e manifestazione culturale (al nome di Gaetano Zilio Grandi e Bianca Gualdo Priorato è intitolato anche un Circolo giuridico). Ricordiamo inoltre che, sempre per disposizione testamentaria del benefattore, si svolge ogni triennio, in palazzo, una festa familiare con distribuzione della Befana ai bambini degli avvocati: mentre ogni dieci anni deve essere ricordato con una memoria da darsi alle stampe un membro della famiglia Gualdo Priorato che abbia raggiunto qualche notorietà nelle scienze, lettere od arti.

A Gaetano Zilio Grandi è succeduto Alberto Dalle Mole (figlio, va notato, di quell’avv. Riccardo Dalle Mole che abbiamo visto essere stato l’ultimo locale Presidente di Consiglio dell’Ordine nel periodo prefascista). L’avv. Dalle Mole presiede il Consiglio di Vicenza ininterrottamente dal 1950, è cioè il decano, per anzianità di nomina, fra tutti i presidenti degli Ordini forensi d’Italia.

a cura degli avvocati Enrico Schiavo ed Eugenio Bertagnoni

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